Francesco Anglani ci parla de “La compliance antitrust: un valore aggiunto per le imprese”

Francesco Anglani ci parla de “La compliance antitrust: un valore aggiunto per le imprese”

Negli ultimi tempi, numerose imprese hanno deciso di dotarsi di programmi di compliance antitrust, vale a dire di un insieme di regole e procedure interne volte a prevenire la commissione di violazioni della normativa antitrust.

Ciò è dovuto, probabilmente, alla recente decisione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato di concedere una significativa riduzione della sanzione (fino al 15%) alle imprese che adottano tali programmi. Affinché l’attenuante possa essere accordata è però indispensabile che il programma sia il linea con le best practice nazionali e internazionali. Sarà necessario, ad esempio, un chiaro impegno da parte del top-management al rispetto del programma di compliance, un’analisi dettagliata dei rischi specifici dell’impresa, una formazione interna continua ed un monitoraggio periodico del buon funzionamento del programma, mentre non potranno consentire la riduzione della sanzione quei programmi adottati esclusivamente “sulla carta”, in quanto non idonei a prevenire violazioni del diritto della concorrenza.
La scelta dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato è stata senz’altro coraggiosa e lungimirante: quasi nessun’altra autorità europea (ad eccezione di quella britannica, ceca e, a determinate condizioni, francese) riconosce, infatti, valore premiale all’adozione di programmi di compliance, ritenendo che se un’infrazione è stata commessa tale programma non poteva evidentemente essere adeguato a prevenire illeciti antitrust.
Ma a prescindere dall’eventuale riduzione di una sanzione, i programmi di compliance antitrust sono capaci di produrre per le imprese anche altri più importanti benefici.
Innanzi tutto, essi comportano la riduzione del rischio legato alla commissione di violazioni del diritto della concorrenza, che possono avere un impatto fortemente negativo per il business dell’imprese. Tale rischio è rappresentato, infatti, non solo dall’elevato importo delle sanzioni comminate (fino al 10% del fatturato), ma anche dalle ripercussioni di natura reputazionale e dalla possibilità che consumatori e concorrenti agiscano in sede civile per l’ottenimento del risarcimento dei danni con azioni che, peraltro, saranno facilitate dal prossimo recepimento della Direttiva europea sul private enforcement, con la quale si è inteso attribuire valore vincolante per i giudici civili ai provvedimenti sanzionatori adottati dalle autorità di concorrenza.
L’adozione di un programma di compliance dimostra, inoltre, l’impegno dell’impresa alla diffusione di una profonda cultura antitrust e il conseguente contributo a realizzare un mercato sano nel quale le imprese possano effettivamente competere “on the merits”, a beneficio dei consumatori e del buon funzionamento del sistema economico nel suo complesso. Un simile impegno può contribuire senz’altro a rafforzare la reputazione delle imprese e del brand, elevando così il rispetto di una normativa specifica ad un valore aziendale, così come è accaduto, ad esempio, con riguardo ad altre discipline – quali quella a tutela dell’ambiente, della sicurezza e del benessere dei lavoratori – il cui rispetto viene sempre più spesso esaltato da imprenditori “illuminati” anche per dare lustro al proprio marchio e promuovere il valore etico dell’attività d’impresa.